Il piano di incentivazione, documento non solo consigliabile, ma essenziale per un corretto programma di Work for Equity. Vedremo come deve essere strutturato, quali aspetti deve prevedere e approfondire e di quali documenti ha bisogno per essere veramente efficace.
Il piano di incentivazione è un documento fondamentale che viene redatto all’interno di un programma di Work for Equity (WFE) e ha lo scopo di delineare le modalità e i criteri con cui le quote azionarie assegnate ai collaboratori in un programma di WFE giungono al termine della fase di vesting, cioè maturano. In altre parole, definisce quando e come i collaboratori acquisiscono la proprietà definitiva delle azioni ricevute in cambio del loro lavoro o delle loro prestazioni.
Un piano di incentivazione ben strutturato non è solo consigliabile, ma essenziale per il successo di un programma WFE.
WORK FOR EQUITY: COME FUNZIONA
Prima di approfondire l’argomento dell’articolo, cioè cosa è e come dsi fa un piano di incentivazione, occorre ricordare in cosa consiste il Work for Equity. Si tratta di un modello di finanziamento alternativo per le startup che permette di remunerare collaboratori esterni con quote azionarie della società, anziché con un tradizionale stipendio.
Detto in parole molto semplici, in un accordo di WFE il collaboratore fornisce il proprio lavoro, le sue competenze o i suoi servizi alla startup in cambio di un certo numero di azioni della società.
La bontà e il valore dell’accordo sono legati al valore delle azioni, che viene solitamente stabilito in base a diversi fattori. I più significativi, che devono essere presi in considerazione prima degli altri, sono:
- Il valore della startup: maggiore è il valore potenziale della startup, maggiore sarà il valore delle sue azioni
- Le competenze e l’esperienza del collaboratore: ovviamente un collaboratore con competenze settoriali specifiche o un’esperienza significativa dovrebbe aver diritto -sulla carta- a un numero maggiore di azioni rispetto a un collaboratore con competenze meno richieste
- Il contributo del collaboratore al progetto: parimenti, un collaboratore che svolge un ruolo chiave per il successo della startup dovrebbe aver diritto a un numero maggiore di azioni rispetto a un altro collaboratore.
In Italia, il Work for Equity è stato recentemente regolamentato dal Decreto Legge 23 maggio 2017, n. 56, noto anche come “Decreto Startup”. Il decreto ha introdotto alcune semplificazioni burocratiche e fiscali per favorire l’utilizzo di questo modello di finanziamento da parte delle startup italiane.
Il Work for Equity può essere un’opzione interessante per le startup che desiderano attrarre talenti di alto livello, ridurre i costi e allineare gli interessi dei collaboratori con quelli della società. Tuttavia è importante valutare attentamente i potenziali rischi e benefici prima di decidere se utilizzare questo modello di finanziamento. Per questo motivo è utile sapere in cosa consiste e come si compone un Piano di Incentivazione.
IL PIANO DI INCENTIVAZIONE
Un Piano di Incentivazione nel Work for Equity (WFE) è un documento fondamentale per la buona riuscita di un programma di WFE. Definisce le modalità e i criteri con cui le quote azionarie assegnate ai collaboratori in cambio del loro lavoro o delle loro prestazioni finiscono la fase di vesting, cioè maturano. In altre parole stabilisce quando e in che modo i collaboratori acquisiscono la proprietà definitiva delle azioni, incentivandoli a rimanere impegnati e contribuire al successo della startup.
Ma, nella pratica, a cosa serve un piano di incentivazione e perché DEVE essere fatto contestualmente?
In realtà un Piano di incentivazione ha diversi scopi e porta con sé svariati benefici:
- Trasparenza, equità e chiarezza: sembra banale dirlo, ma garantisce che tutte le parti coinvolte (collaboratori, startup e investitori) siano a conoscenza delle aspettative e dei termini dell’accordo
- Prevenzione di controversie: come corollario del punto primo, può aiutare a prevenire incomprensioni e dispute tra i collaboratori e la startup, tutelando tutte le parti in causa
- Motivazione e fidelizzazione dei collaboratori: sapere di poter acquisire la proprietà di una parte della startup incentiva i collaboratori a lavorare sodo, ad essere produttivi e a rimanere fedeli all’azienda nel lungo periodo
- Allineamento degli interessi: un piano di incentivazione, basato sul raggiungimento di obiettivi aziendali, allinea gli interessi dei collaboratori con quelli della startup. Crea inoltre un ambiente di lavoro collaborativo e orientato al successo comune.
COME SI STRUTTURA
La costruzione di un piano di incentivazione efficace richiede una valutazione attenta di diversi fattori, tra cui:
- Fase di sviluppo della startup: la fase di sviluppo della startup influenza, o almeno dovrebbe, la durata del vesting (cioè della maturazione). Quelle nelle prime fasi potrebbero utilizzare un piano più semplice con vesting più lungo, mentre quelle mature potrebbero optare per piani più complessi con vesting più brevi e obiettivi più specifici
- Competenze e esperienza dei collaboratori: è possibile e utile modulare il vesting in funzione dell’esperienza e dell’importanza relativa del collaboratore (da trattenere). Maggiore la competenza, minore il periodo
- Valore potenziale della startup: ovviamente, rimandare la valutazione della startup in una seconda fase, saltando la fase di pre-valuation, permette alla startup di sviluppare il suo potenziale, aumentando in questo modo il valore delle azioni
- Obiettivi della startup: il piano, allineato con gli obiettivi strategici aziendali, diventa uno strumento reale (e molto efficace) per allineare i collaboratori e motivarli
- Benchmark di mercato: un buon modo per definire il tone del piano è valutare i piani di incentivazione utilizzati da altre startup simili, per garantire che il proprio piano sia competitivo e attraente per i talenti.
GLI ELEMENTI DI UN PIANO
Un piano di incentivazione efficace include tipicamente i seguenti elementi:
- Programma di Vesting: il termine letteralmente significa “maturazione”. Definisce quindi il periodo di tempo necessario ai collaboratori per acquisire la piena proprietà delle loro azioni. Questo periodo può essere strutturato in:
- scadenze fisse (un certo numero di azioni acquisite ogni anno)
- in base al raggiungimento di obiettivi specifici (un determinato traguardo di vendita o lo sviluppo di un nuovo prodotto)
- Tabella di Vesting: stabilisce la percentuale di azioni che i collaboratori acquisiscono in ogni periodo di vesting. La tabella di vesting può essere lineare, progressiva o basata su performance. Solo cercando in rete, si trovano facilmente molte app che consentono di ipotizzare un programma con tabella. Possono essere utili per orientarsi e capire la grandezza delle cifre in gioco, ma si consiglia sempre il ricorso a un legale esperto
- Clausole di Vesting: definiscono le condizioni in cui i collaboratori potrebbero perdere il diritto a una parte o a tutte le loro azioni. Solitamente includono eventi come la dimissioni volontarie del collaboratore, il licenziamento per giusta causa o la mancanza di raggiungimento degli obiettivi
- Diritti di Liquidazione: stabiliscono come e quando i collaboratori possono vendere le loro azioni maturate. Possono essere soggetti a restrizioni (lock-up) o essere più flessibili. Le restrizioni tipiche includono:
- Lock-up di un anno: i collaboratori non possono vendere le loro azioni per un anno dopo il vesting
- Lock-up graduale: la vendita avviene per tranche, secondo una percentuale crescente di azioni in periodi successivi (ad esempio, 25% dopo un anno, 50% dopo due anni, 25% dopo tre anni).
CLAUSOLE DI VESTING
Esistono diverse tipologie di clausole di vesting, ognuna con caratteristiche e finalità specifiche:
- Clausola di vesting lineare: le azioni vengono acquisite in modo uniforme in base a periodi di tempo prestabiliti (es. 25% ogni anno per 4 anni)
- Vantaggi: semplicità, prevedibilità, trasparenza
- Svantaggi: può non motivare i collaboratori all’inizio o alla fine del periodo di vesting
- Clausola di vesting basata su obiettivi: il raggiungimento di determinati obiettivi aziendali o individuali accelera o sblocca l’acquisizione delle azioni (es. 50% al raggiungimento di un obiettivo di vendita, 50% al raggiungimento di un obiettivo di profitto)
- Vantaggi: allinea gli interessi dei collaboratori con gli obiettivi della startup, motiva al raggiungimento dei risultati
- Svantaggi: può essere complessa da definire e monitorare, richiede una chiara definizione degli obiettivi
- Clausola di vesting con cliff: le azioni non vengono acquisite per un periodo iniziale (es. primo anno) e vengono poi acquisite tutte in una sola volta al termine del periodo di cliff (es. secondo anno)
- Vantaggi: rende più difficile per i collaboratori di lasciare la startup prima di aver acquisito un interesse significativo, incoraggia l’impegno a lungo termine
- Svantaggi: può scoraggiare i talenti all’inizio, richiede un periodo iniziale di incertezza per i collaboratori.
- Clausole di vesting aggiuntive:
- Bad leaver: prevede la perdita di una parte o di tutte le azioni non ancora maturate in caso di dimissioni volontarie o licenziamento per giusta causa
- Good leaver: permette ai collaboratori di mantenere le azioni maturate o di acquisire quelle non ancora maturate in caso di dimissioni per motivi legittimi (es. malattia, trasferimento, motivi familiari)
- Clausola di Drag-along: obbliga i collaboratori a vendere le loro azioni se la maggioranza degli azionisti decide di vendere la startup
- Clausola di Anti-diluizione: protegge i collaboratori dall’effetto dilution di nuovi round di finanziamento, garantendo loro il mantenimento di una percentuale di proprietà equivalente.
L’immagine di copertina è di Werner Heiber da Pixabay